assegno divorzile: no con revoca della casa
Assegno divorzile: no con revoca della casa.
Lo afferma una recentissima ordinanza della Corte di Cassazione del maggio 2023.
La vicenda:
Con la sentenza di divorzio alla ex moglie viene revocata l’assegnazione della casa familiare, in quanto i figli sono divenuti economicamente autosufficienti.
A seguito di quanto sopra, la ex moglie chiede il riconoscimento di un assegno divorzile tenuto conto che la venuta meno dell’abitazione assegnata la obbliga a corrispondere un canone di locazione.
Il giudice di merito condanna l’ex marito al versamento di un assegno pari ad € 400,00 ma l’uomo impugna la decisione avanti la Corte di Cassazione che, per l’appunto, con l’ordinanza del maggio 2023 accoglie il ricorso di quest’ultimo.
La decisione:
assegno divorzile: nessun automatismo con revoca della casa coniugale. Per il riconoscimento del diritto all’assegno divorzile il giudice deve valutare, infatti, la funzione assistenziale e quella perequativo-compensativa del medesimo.
Secondo la Cassazione il fatto che la l’assegnazione della casa comporti un risparmio di spesa non determina automaticamente che la sua revoca comporti il riconoscimento di un contributo economico a favore della parte che perde tale diritto.
Infatti, non sussiste alcun automatismo tra le due cose.
Richiamati i principi espressi dalle Sezioni Unite nel 2018 la Cassazione ricorda che l’eventuale disparità di reddito tra le parti rileva solo quando dipenda dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio.
Ad esempio, nel caso in cui il minor reddito di uno dei due dipenda dal fatto di aver sacrificato le proprie aspettative professionali (e, conseguentemente, reddituali) a favore dell’altro, per consentirgli di fare carriera.
In conclusione, al fine di riconoscere la sussistenza del diritto all’assegno, non opera alcun automatismo, ma il giudice deve valutare l’impossibilità del soggetto richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente (funzione assistenziale) nonché la necessità di “compensarlo” per il contributo che abbia dato alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge (funzione compensativo-perequativa).