Malattia – il lavoratore può svolgere altre attività
Il lavoratore in malattia può svolgere un’altra attività?
Nel nostro ordinamento non sussiste un divieto assoluto per il dipendente di prestare altra attività, anche a favore di terzi, durante le assenze dal lavoro per malattia.
Ed infatti, lo svolgimento di altra attività non costituisce, di per sé, inadempimento degli obblighi imposti al prestatore e quindi automatica giusta causa di licenziamento.
Cosa deve provare il datore di lavoro per irrogare il licenziamento?
Il datore di lavoro per irrogare il licenziamento deve valutare modalità, tempi e luoghi della diversa attività svolta da parte del lavorare.
Il datore di lavoro deve inoltre provare non solo che si tratta di effettiva attività ricreativa o ludica ma anche che la malattia è fittizia ovvero che la condotta tenuta dal dipendente è potenzialmente idonea a pregiudicare o ritardare il suo rientro al lavoro.
Quanto sopra è ribadito da una recente sentenza della Cassazione del 26.4.2022 che ribadisce che non esiste incompatibilità assoluta tra malattia e svolgimento di un’ altra attività lavorativa durante il periodo di comporto.
Per la Cassazione il lavoratore assente per malattia “non per questo deve astenersi da ogni altra attivita’, quale in ipotesi un’attività’ ludica o di intrattenimento, anche espressione dei diritti della persona.“
Esempi:
Così non può essere licenziato un lavoratore che, in malattia, si reca allo stadio per vedere una partita di calcio (tanto più se i biglietti li aveva acquistati prima dello stato di malattia).
Anzi, la durata di una partita si estende per un arco temporale ben più breve rispetto alla giornata lavorativa e non richiede particolari sforzi.
Inoltre, non esiste un obbligo di riposo assoluto in pendenza di malattia se non oggetto di prescrizione medica e fuori dagli orari di reperibilità per la visita fiscale.
Si esplica infatti “il diritto di libera circolazione assicurato a ogni cittadino che non sia destinatario di provvedimenti restrittivi promananti dall’autorità giudiziaria”.
Sul punto, si è pronunciata in tal senso anche una recente sentenza del Tribunale di Arezzo del 7.3.2023.